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martedì 26 giugno 2012

MA PERCHE' CONTINUIAMO AD ACCETTARE TUTTO QUESTO? IO CHIEDO RISPETTO

La testimonianza di una "nostra inviata" a Berlino che redarguisce chi punta il dito solo verso il Belpaese: "La soluzione non è emigrare".


Forme di sfruttamento contemporaneo. Nel cuore della nostra democratica Europa.

Berlino, era ormai da anni il mio chiodo fisso. Avevo visitato più di una volta la capitale tedesca e ne ero rimasta del tutto affascinata. Pensavo che la storia lacerante che l’aveva colpita ed inghiottita avesse insegnato molto alle persone che vi vivono. Pensavo, ingenuamente, che Berlino fosse il nuovo punto di partenza europeo. La luce di speranza in questa generalizzata situazione di crisi e stallo. Mi sbagliavo.

Questa è la mia storia.
Mando molti CV ovunque. Infine mi chiamano per un colloquio. Si tratta di una startup che lavora sul web, una ditta fino ad allora a me completamente sconosciuta che pare riscuota parecchio successo nel campo.
Un giovane rampollo di buona famiglia mi fa il colloquio e le parole chiave che ne escono sono: “soldi”, “successo” e “competizione”. Il contratto ha una durata di tre mesi e lo stipendio è pari a 600€. I tre mesi sono di prova, se sei tra “i migliori” poi potrai restare e guadagnare un sacco di soldi. Ricorda però, solo i “migliori” possono restare. Sì va bene, anche se il tutto mi lascia notevolmente perplessa essendo la mia indole completamente differente ovvero per nulla competitiva e assai lontana dalle perfide logiche del mercato. Un lavoro comunque mi serve.
Due giorni dopo ricevo una mail: mi hanno presa! Bella felice faccio i bagagli: finalmente vivrò nella città dei miei sogni!

Primo giorno di lavoro: l’ufficio è situato nel cuore del business berlinese. Edificio nuovo, openspace, tante scrivanie bianche una vicina all’altra, ognuno ha il suo pc. La stanza brulica di ragazzi come me provenienti da ogni angolo di Europa, poliglotti e plurilaureati. Mi siedo di fianco ad una collega italiana. Mi spiega la nostra mansione. Costruire un sito passando 8 ore inserendo immagini nelle cartelle di questa nuova piattaforma online. E la pausa? Se vuoi la puoi fare però non troppo lunga altrimenti la devi recuperare alla fine della giornata. Ah, ok. Mi viene fatto firmare il contratto che ha una durata di un mese e mezzo e non di tre. Chiedo il perché. Perché sono arrivata tardi. Tardi rispetto a cosa? Che scelta ho? Sono lì e firmo. Forse quello è stato l’errore. Un lavoro comunque mi serve.

Condizioni lavorative: devi inserire il maggiore numero di immagini possibile e di alta qualità. Non ti devi fermare: i perdenti, coloro che non producono, non fanno parte del team. Ah ok!
Fine giornata: il rampollo arrogante esce con una lavagna e su questa compaiono i nostri nomi e di fianco i numeri che corrispondono alle immagini che abbiamo caricato. Solo i migliori vincono. Ed infatti vengono annunciati i vincitori della giornata in stile serata degli oscar hollywoodiani: “…and the winner is…!”. Se vinci tre o quattro volte la settimana puoi ricevere un bonus di 100€. Ah, ok!

La testa mi fa male e gli occhi mi bruciano. Fa niente. Alle 17.00 finisce il turno, molti restano ancora a proseguire il loro onesto lavoro. Io esco perché devo cercare un appartamento, devo aprirmi un conto, devo reperire una montagna di documenti che la burocrazia tedesca richiede. Per fortuna siamo nell’Europa unita.
Secondo giorno: vengo a scoprire dalla mia collega che il nostro stipendio è in realtà di 495€ (causa tasse varie) perché 600€ non sono netti, ma lordi. Ah ok! Anche se al colloquio non mi avevano detto questo. Molti dei miei colleghi internazionali restano oltre l’orario ufficialmente richiesto a svolgere il loro onesto lavoro. Nessuno si lamenta. Ma perchè nessuno si rende conto che pare di vivere realmente il film di Virzì “Tutta la vita davanti”? Nessuno dice nulla.

Decimo giorno: cambiamo ufficio e ci spostiamo in un altro quartiere, all’ultimo piano di un interessante edificio di archeologia industriale. La mia mansione cambia, curo la pagina Facebook e cerco di sponsorizzare il nuovo sito. Faccio del mio meglio, secondo le mie possibilità. In fondo è la prima volta che mi trovo a fare questo tipo di lavoro.
Nel frattempo arrivano le vacanze di Natale e il contratto sta per giungere a conclusione. Momento di suspance: il giovane rampollo comunica che alcuni di noi, ma ovviamente solo i migliori e i più produttivi, potranno rimanere. Gli altri se ne dovranno andare. Ah ok! Ma quando me lo dicono? Io finisco dopodomani. Ma se non mi dicono di rimanere io nemmeno ho il tempo per cercare qualcosa di meglio. Ah, ok!

Ultimo giorno: arriva il colloquio decisivo con il rampollo. Salgo ai piani alti. Mi presento, nemmeno sa chi sono, non ha il mio CV sottomano e non ha la più pallida idea di quello che mi deve dire. Comincia a fare considerazioni generali e positive relative al gruppo dei ragazzi italiani, ma non ha la minima idea di chi sia io, di quale sia il mio background universitario e lavorativo. In base a cosa allora deciderai che sono una dei migliori e che ho lavorato più o meno bene?? In un periodo della durata di circa un mese di stage che cosa vuoi capire?
Attenzione, attenzione! Arriva la domanda fatidica, nocciolo del colloquio di altissimo livello professionale: “Ma tu sei rimasta quotidianamente in ufficio oltre l’orario canonico di lavoro?” Io rispondo fermamente: “No!” e a questa parolina avrei voluto aggiungere una serie infinita di considerazioni. Il mio volto forse lascia trasparire il mio disappunto e il rampollo mi chiede in un perfetto inglese anglosassone: “Do you have something to complain?” Dico di no, ma sbaglio. Avrei dovuto dire quello che pensavo.

Avrei dovuto poi ricevere, nel fine settimana o la domenica sera, la mail delle HR con la risposta relativa al mio futuro lavorativo nell’azienda. Non ricevo assolutamente nulla fino al lunedì mattina. Così mi rimane il dubbio, vado o non vado in ufficio oggi? Scrivo una mail. Non mi hanno presa, si scusano, non motivano la scelta, mi ringraziano e sperano che resti fan della pagina Facebook relativa al sito. Questo ultimo punto certo è molto importante.

Ora mi trovo qui e non ho nemmeno ricevuto il bonifico che mi spetta. Ovviamente si scusano di cuore per il ritardo nel pagamento.
Questo è il nuovo sfruttamento dell’era contemporanea. L’apoteosi di quello che si definisce “precariato”.
Ma perché continuiamo ad accettare tutto questo? Io chiedo rispetto.


2 commenti:

Me ha detto...

Mi sembra di leggere la mia esperienza di stage a scopo assuntivo che ho vissuto qui, nella mia città.. mi veniva richiesto di impegnarmi al massimo, e di fermarmi oltre l'orario di lavoro (questo ha talvolta comportato giornate lavorative di 14 ore!!). Pagata €100,00 al mese (che sarebbero dovuti diventare 300 allo scoccare del terzo mese di stage ma che sono invece arrivati a 200), mi hanno fatto pure storie perché non volevo guidare l'auto aziendale (non era richiesto come requisito "assuntivo" e io non rischio la pelle per 100/200€ al mese!)... dopo 6 mesi a tempo pieno, mi hanno liquidata con una valutazione media lasciandomi un grande, grandissimo amaro in bocca.

Unknown ha detto...

Il fatto che succeda anche in Germania dovrebbe far riflettere...