Cari “giovani colleghi di mille sacrifici”, chi scrive è un
ragazzo di 30 anni, che per motivi di privacy dettati da accordi con il datore
di lavoro, preferisce mantenere l’anonimato.
Da qualche tempo ho iniziato a seguire Alessia e devo dire
che mi affascina proprio sia per le forme sia per il modo di affrontare questa
tipologia di problematiche, a dir poco senza precedenti.
Vi riporto la mia storia personale.
Prima calciatore, poi per motivi di salute (per fortuna non
gravi) ho dovuto abbandonare, così motivato dalla vita, decisi di iscrivermi ad
un corso di laurea in Economia e Gestione dei Servizi Turistici, pensai che
vivendo in un luogo ricco di risorse turistiche, questo fosse l’indirizzo
giusto da scegliere. Così feci, mi laureai alla triennale ed ecco puntualmente
il primo riscontro nella società… Centinai di CV inviati accompagnati da un
silenzio tombale! Eppure avevo espresso il massimo durante il percorso di studi
e dicendo grazie ai sacrifici dei miei genitori imparai benissimo anche l’inglese.
Come chiunque avrebbe fatto al posto mio, mi chiesi il perché di tale assenza
di opportunità, e dire che come prima esperienza mi sarei accontentato di
svolgere qualunque lavoro, seppur convinto e consapevole di quanto avessi
studiato… A quell’interrogativo trovai, al tempo, risposta; così, mi presi d’impegno
e di sacrificio e continuai con l’università… Magari il limite era la laurea
triennale… Iscritto e laureato alla specialistica in Scienze Economiche e Finanziarie,
riuscii a colmare il difetto di preparazione universitaria. A tal punto sperai
di essere pronto per ottenere un minimo di considerazione nel mondo del lavoro.
Il tempo passava ma nessuna risposta ricevette, anzi, ricordo di aver sostenuto
qualche colloquio per istituti di credito, molte speranze affondate
dall’incalzante crisi limitarono le possibilità e se qualche possibilità ci
poteva essere, fu subito stroncata dal fatto di non avere nel CV esperienza… Ma
se tutte le aziende chiedono esperienze, allora quale sarà la fine di tutti i
neo-laureati?
Cercai anche di svolgere un’attività privata, ho iniziato ha
presentare progetti turistici, cercavo di fare a “spallate” con le varie
amministrazioni locali per vendere e per creare situazioni di benessere, ma
nessuna considerazione. Forse troppo piccolo per progetti così grandi, o forse
troppo presuntuoso per amministrazioni così povere. Colpito dalla rabbia,
iniziai a studiare per un concorso, presso l’Agenzia delle Entrate, vinsi ed
entrai finalmente nel mondo del lavoro… Ero felice perché iniziai con la mia
prima esperienza lavorativa… Ma non potevo essere soddisfatto, forse sbagliando
perché oggi ci si dovrebbe accontentare! Scelte di vita, scelte testarde, forse
sbagliate mi portarono ad abbandonare il lavoro trovato e mi rivolsi all’estero,
in particolare al sogno inglese, lingua che tanto avevo studiato e che tanto mi
era piaciuta. Mi trasferii in UK, mi inserii e dopo qualche settimana di permanenza
trovai anche il lavoro che tanto desideravo. Oggi, lavoro per una famosa
società d’investimenti che ha clienti in tutto il mondo. Si vendono progetti
capaci di creare valore, ricchezza e posti di lavoro; ma pochi di essi hanno ha
riferimento il territorio italiano perché molte tasse, molte sono anche le
pressioni di ogni genere.
I sacrifici, vi giuro che li ho fatti e ancora oggi continuo
a farli tanto che, ritornerei nel luogo che mi ha visto crescere, anche senza
una sola moneta nelle tasche. Ma, prima ho l’esigenza di essere soddisfatto
almeno una volta nella vita. Allora pongo una domanda: premesso che, come
narrava Sant’Agostino “nessuno mai ha conosciuto la gioia per desiderarla così
tanto”
Ma perché i sacrifici fatti dai giovani italiani riescono a
trovar risconto nella maggior parte dei
casi all’estero? Che cosa c’è di tanto strano in noi giovani italiani da non
essere capiti dal nostro stesso territorio? Perché molto spesso all’estero ci
capiscono, o meglio cosa di noi non viene compreso qui?