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giovedì 6 settembre 2012

CHI CERCA DI TENERVI BAMBINI NON É VOSTRO AMICO


Ciao Alessia, 

complimenti, credo che sia veramente il momento che vi prendiate la vostra vita nelle vostre mani.
So per esperienza personale che chi cerca di tenervi bambini non e' vostro amico.
Ho scritto due righe come commento a quanto dice Francesco in risposta a Cafe'Babel. 
Te lo rimando, un po' corretto, per Email. 
Facci quel che ritieni opportuno e contattami pure come vuoi se credi che possa esserti utile, magari anche solo per scambiare due idee.
Io me ne andai dall'Italia più di trenta anni fa perche' non ci vedevo futuro. 
Ora mia figlia e' andata a Trinidad ed anche la' fatica a trovare la sua strada. Parla e scrive correttamente sei lingue, ha una laurea in antropologia culturale e un curriculum di tutto rispetto con collaborazioni nel più qualificato mondo delle ONG (ma queste cose tu le conosci gia'.
La crisi che stiamo attraversando e' più generale, e ci sta portando verso una probabile instabilita' globale mai vista prima. 
Ma ci sono gli strumenti per affrontarla e credo che si possa uscire dal guado relativamente presto, ma il momento e' ora!
Io non voglio il futuro che stanno cercando di cucirci addosso e non mi tirerò indietro.
Anche se ho cumulato moltissimi ricordi ed ho davanti meno strada di quanta ne abbia già percorsa, non voglio dar via  progetti, speranze e desideri, anche e soprattutto se saranno tutti per me.



Auguri per la vostra vita e contate sul mio supporto



Alessandro



*****************
Cari tutti,



Uscii dall'Italia perché pensavo che la generazione precedente, avesse occupato tutto il possibile, spesso con incapaci che difendono i loro privilegi come possono, cioe' con trucchetti e soprusi.
Ma non avrei mai immaginato dove sarebbero arrivati...
Pensavo che la generazione dei miei figli avrebbero potuto costruire su quel poco che eravamo riusciti a difendere, se non a costruire noi, ma essi si sono  (voi vi siete) trovati davanti a barriere artificiali ed a ricatti quasi insormontabili, anche con il nostro supporto. 



Avete ragione, dovete impegnarvi con ancora piu' forza e piu' caparbieta', ma attenzione, molti dei libri che vi sono proposti, cosi' come alcuni "Master" legati a grandi gruppi finanziari, hanno piu' lo scopo di tenervi sottomessi che di aiutarvi a crescere.



Volete provare a leggere questo: 



Jha Prem S.    “Il caos prossimo venturo - il capitalismo contemporaneo e la crisi delle nazioni” 
    edito in Italia da Neri Pozza, lo si trova anche su ibs.it



Un altro pensiero a mio avviso illuminante e' il seguente: 



Idries de Vries, "Austerity and the globalization of poverty: The closing chapter in capitalism’s history?"
si può trovare su:



Quando parlate di "cambio di paradigma" dite una cosa vera, ma vi siete fatti un'idea di cosa e' in gioco?.



Secondo me, detto in estrema sintesi, si e' finalmente capito che la terra ha risorse limitate. Potrebbe sembrare un bene, ma ci sono delle conseguenze.
Se le risorse sono limitate, ne consegue che non e' possibile mantenere in un ambiente finito un sistema che "non e' sano" se non "cresce di un tot percento all'anno".
Una tale definizione descrive un sistema che ha una crescita esponenziale  (2, 4, 8, 16, 32, 64, 128, 256, ... come i chicchi di riso sulla scacchiera della nota storia). La nostra economia e' dunque' un sistema sostenibile solo in un ambiente infinito, certamente insostenibile sulla terra, grande ma finita!



Se tutte le risorse hanno un tetto, allora l'unico vero problema e' la distribuzione delle stesse, non la loro produzione. 
Infatti pensiamo ad una ipotetica popolazione di diciamo 10 milioni di abitanti, in cui il 10% muore di fame. 
Se in quella società immaginamo di  moltiplicare magicamente le risorse disponibili per due, ma manteniamo identica la composizione sociale (distribuzione delle risorse), cosa accadrà? 
Con le maggiori risorse disponibili la società crescera' e, all'equilibrio, raddoppiera', lasciando ancora il 10% di persone che muoiono di fame, cioè  due milioni di persone che muoioni di fame invece del milione che c'era prima di raddoppiare "la produzione".



Le possibili soluzioni per distribuire le ricchezze sono  limitate tra due estremi :
- il possesso di tutte le risorse da parte di una sola persona (un imperatore e gli altri servi) ed 
- una distribuzione uniforne (tutti ugualmente poveri, a seconda di quante persone ci sono nel mondo).



ANel mondo di oggi si sono affermate forze, organizzazioni, agglomerati industriali ecc. che dispongono di mezzi, economici, finanziari ed anche militari, più grandi di quelli degli stati che dovrebbero controllarle  imponendo il rispetto del "patto sociale" (chiamatela pure Costituzione, se volete). Attualmente queste forze stanno spingendo verso un modello di società (una distribuzione del reddito) piu' o meno cosi' concepita: 



-circa il 2% di super ricchi, 



-forse il 25% di persone educate quel che basta per far funzionare quello che i super ricchi desiderano 



-il resto tenuti come animali, cibo e riparo sufficienti per mantenerne in vita un certo numero, ma senza alcuna possibilità di istruirsi.



Ma dato che il 25% della popolazione dovrà comunque essere un poco istruita per poter fare il proprio lavoro, si dovrà prevedere di tenerli in uno stato di continua feroce competizione tra loro e soggetti anche ad un  feroce controllo sul piano psicologico e del pensiero per impedire che si accorgano di essere oppressi e che quindi possano rivoltarsi. 



Ecco come, oggi, si sta attivamente preparando qualcosa che comincia a somigliare in modo preoccupante al mondo descritto da "1984" (G. Orwell,  si trova anche in pdf in rete) o da "Fahrenheit 451" (Ray Bradbury).



Il passaggio delicato, nel quale questa possibile trasformazione della società e' piu' vulnerabile, e' quando si cominciano a toccare gli interessi di chi ha la capacita' intellettuale di rendersi conti di cosa succede mentre ancora questi  hanno i mezzi (e la volontà) per opporvisi, creando spazi comuni, associazioni, partiti in grado di proporre ed imporre soluzioni  alternative e/o compromessi più validi.



Se passera' questo momento senza che il 98% della popolazione riconosca di essere dalla stessa parte e faccia sentire il suo peso ci sveglieremo presto nel medioevo prossimo venturo, qualcuno artigiano, gli altri servi della gleba.



Perché i cambiamenti sono introdotti lentamente e si sono usati e si usano i mezzi di comunicazione che rendono accettabile ogni piccolo incremento della pressione.
E' chiaro a cosa servono i grandi imbonitore del video? si capisce come mai si sono spesi capitali ingenti in trasmissioni anestetizzanti che banalizzano "il grande fratello" rincartandolo con un lenzuolo di perbenismo e vago senso di colpa da voyeur?
C'e' chi spera che la rana, immersa nell'acqua, fredda e poi riscaldata molto lentamente, perda le sue forze tanto da non poter più saltare fuori dal recipiente quando infine si accorgera' che la stanno bollendo, c'e' chi spera che salti subito via, come farebbe certamente riconoscendo l'acqua bollente!

mercoledì 5 settembre 2012

SUCCEDE CHE...


Sono Viola,
sono affetta da logorrea, grafomania compulsiva che sfogo in un blog (piccoledonnecresciute.blogspot.com) e sono particolarmente polemica. Sulle spalle ho ventotto primavere. Sono innamorata del mio uomo e con lui, oltre che un presente precario, vorrei costruirmi un futuro . “Fosse facile, l’avrei già fatto” avrebbe detto Cecco Angiolieri.
Scrivo per raccontarvi questa storia (simile a molte altre), sperando in un cambiamento.

Succede che oltre quattro anni fa, ad una ragazza neo laureata suona il telefono mentre è svenuta sul divano. Risponde di malavoglia, rianimandosi solo quando sente una voce dall’altra parte che le dice: “Dottoressa? Salve, la chiamo per conto di XXX. Le interesserebbe un colloquio di lavoro?”.

Succede che  dice sì, fa tre colloqui, una giravolta, un saltello e miracolosamente convince gli esaminatori che lei, fresca della sua laurea in Economia Aziendale, è proprio quella che cercano.
E così, comincia il suo (in)finito iter di contratti a tempo determinato: il primo di tredici mesi (con proroga di tre), poi un mese a casa, sperando di essere richiamata, poi un altro contratto di quindici mesi per arrivare, alla fine, alla tanto agognata assunzione a tempo indeterminato in una di quelle aziende che, vent’anni fa, erano più ambite, che il biglietto vincente della Lotteria Italia.

Succede poi la ragazza incontra, quando è indeterminatamente un’impiegata, al distributore del caffè un ragazzo alto e con lo sguardo pulito, che la colpisce al primo sguardo.
Succede che anche il ragazzo, chissà perché, è colpito da lei e cominciano a parlare e a guardarsi in modo univoco.
Succede che, complici una bottiglia di vino e una buona cena, si raccontano un sacco di cose e si piacciono sempre più e cominciano a frequentarsi quasi ogni giorno, tanto da ritrovarsi innamorati.

Il ragazzo, oltre ad essere bello e gentile, ha alle spalle un percorso invidiabile: dopo una laurea in Economia con 110/110 e lode, la pubblicazione della tesi e svariate collaborazioni con il suo relatore, ha vinto il concorso come ricercatore (senza borsa, ma con contratto per l’insegnamento) in una prestigiosa università privata.
Peccato che il prestigio dell’università sia soltanto nel nome, nei famosi studenti (con cognomi noti a chiunque, in quanto figli di deputati, attori, politici locali), nelle feste che ricalcano quelle che noi giovani degli anni 80 abbiamo visto nei telefilm, nelle aule multimediali. In pratica, solo nella forma.
Perché nella sostanza ce n’è poco, di prestigio. Infatti, il ragazzo non percepirà mai uno stipendio: il pagamento del proprio lavoro sarà sempre ritardato, eluso, dimenticato, tanto da dover far scrivere da un avvocato, per avere almeno una parte di quello che gli spetta. Ovviamente, dovrà anche lasciare il posto, (nonostante venga definito da La Repubblica, in un articolo apposito, uno dei migliori ricercatori del Paese) perché la dirigenza non ha gradito tale atteggiamento, senza capire che con molto prestigio ma senza stipendio si vive male.

Succede che il ragazzo (con il titolo, il dottorato e le pubblicazioni) venga chiamato dalla stessa azienda della ragazza, per un’offerta (che è sempre un lusso, di questi tempi, si sa!) di contratto per sostituzione di maternità in un ramo a lui lontanissimo.
Il ragazzo è volenteroso, s’impegna e questo piace ai suoi capi, tant’è che, una volta terminato il contratto, gliene offrono un altro (sempre di sostituzione di maternità, le quali non hanno limiti e possono essere, potenzialmente, infinite).
Purtroppo però, per accedere a questa nuova posizione (più vicina ai suoi studi e alle sue  esperienze di ricerca), c’è un piccolo problema di natura burocratica: dato che fra due contratti a TD c’era (perché ora la legge è cambiata) bisogno di uno stacco di almeno 21 giorni (altrimenti il contratto dovrebbe essere obbligatoriamente a tempo indeterminato), l’azienda chiede al ragazzo di licenziarsi.
Si può dire di no ad un datore che ti chiede di rassegnare le dimissioni, con la promessa verbale di riassumerti quanto prima? Si possono far valere i propri diritti di lavoratore, dopo una frase spiazzante come “potresti licenziarti, così potremmo riassumerti prima con un nuovo contratto”?
Non si può, semplicemente, perché queste sono le regole del gioco: sottostai, perché potresti perdere tutto ancora una volta.
E così, senza la possibilità di rinunciare a tale ricatto e sotto la bandiera dello “speriamo sia a buon rendere”, il ragazzo si licenzia perdendo tutti i diritti (come l’eventuale assegno di disoccupazione) che avrebbe se il suo contratto scadesse regolarmente.

Succede che l’azienda mantiene la promessa e riassume il giovane, promettendo futura stabilizzazione, lasciando intendere un progetto su di lui, l’inizio di un percorso e tutti gli orpelli verbali che si usano in questi casi. Così il ragazzo si butta anima e corpo nella nuova esperienza professionale, convinto di muoversi in un sentiero che porterà alla tanto agognata stabilizzazione.

Succede che però la crisi non passa, anzi peggiora, le difficoltà delle aziende sono sempre maggiori e quella dove lavorano i due giovani, non fa eccezione. Tant’è che con una circolare aziendale si comunica che le assunzioni stabilizzanti dei giovani non solo saranno subordinate al pre-pensionamento dei dipendenti più anziani, ma avranno anche con uno stipendio ridotto del 20%.

Succede che i giovani da stabilizzare siano oltre un centinaio e i posti poco superiori alla cinquantina e il ragazzo, nonostante la sua esperienza, i suoi studi e i suoi sacrifici, non sa se rientrerà in quel gruppo di fortunati e riconfermati.
Né sa (se) dove rientrerà, se sarà sballottato ancora o se verrà (finalmente) messo in condizione di produrre al meglio. Infatti nessuno più parla di attenzione la lavoratore, di cercare la persona giusta per il lavoro giusto, di valorizzare la risorsa: ormai siamo tutte pedine intercambiali e il tuo studio, il tuo curriculum non vale niente. Siamo solo a lottare per un posto, uno qualunque, purchè retribuito. Le valide teorie economiche secondo cui una risorsa (anche se preferisco chiamarla persona) soddisfatta lavora meglio ed è più produttiva, sembrano dimenticate e vuote. Tanto da rendere ogni giovane, appena raggiunto l’obiettivo del “posto fisso” già disilluso e frustrato, come dopo quarant’anni di servizio.
Succede che, sempre più spesso, si smette di chiedersi perché la richiesta di potersi mettere alla prova in uno specifico settore, venga sempre disattesa, accettando anche questo come se fosse normale. Perché oggi si sa, devi solo essere grato di avere un lavoro, pena essere giudicato altezzoso, irrispettoso o arrivista.

Succede, infine, che i due giovani sono sempre (e ancor di più)  innamorati e vivono la loro relazione senza pensare al domani, ma con una sottile amarezza di sottofondo che non li abbandona mai, dato che oltre a qualche mese non possono programmare.
Succede che vorrebbero cominciare un progetto insieme, un progetto che si chiama “famiglia” che, per essere messo in pratica, ha bisogno di un minimo di stabilità. E, dato che questa stabilità manca, loro rimandano perdendo mesi e anni, sperando di non pentirsene poi.
Peccato che loro, di crescere e –addirittura- di crescere dei bambini, ne avrebbero  voglia e volontà. Ma la volontà non basta.

E i sogni sono talmente stantii da non essere più nemmeno uno stimolo.

martedì 4 settembre 2012

THANK YOU FOR THIS INITIATIVE


Dear Alessia, 

Thank you for this initiative you took for expressing young Europeans' feelings on the issue of unpaid internships, and even worse, the lack of real jobs. 

I am in the same position as you are right now. I am 22, just graduated and working as an unpaid intern at the UNHCR in Cyprus. This is my fourth internship. I sent about 60 applications for jobs in the EU in the months before graduation, with not a single reply. 

Please, let your initiative be heard across Europe. Help us tell politicians that we are struggling to survive - only the affluent can work, as only the affluent can take the most competitive internships, which are unpaid or minimally sponsored, that do lead to a good job placement. As you said, we are all educated, ready to work, and give to our countries. 

Keep in mind that the issue you are raising is far larger than just Italy. I have friends from Germany, Sweden, Bulgaria, France, all telling me the same things - they cannot get a salary through an internship, as internships have begun leading nowhere - just like our degrees. 

Keep up the good work, and wishing you the best for your future. 

Sincerely, 

SE TUTTI FACESSERO COME LUI...

lunedì 3 settembre 2012

RASSEGNA STAMPA: IL GIORNALE PARLA DI NOI

Questa sera navigando su internet mi sono imbattuta in questo articolo.


Con enorme stupore mi sono resa conto che anche il quotidiano Il Giornale mi/ci ha dedicato qualche riga.

Ecco a voi l'articolo.



ARTICOLO
Sprechiamo la meglio gioventù?

Il Giornale (A cura di Gianpaolo Iacobini) 

Il Giornale - A cura di Gianpaolo Iacobini

Laureati che partecipano a concorsi per netturbini o che pur di lavorare sono disposti a fare i camerieri, o i commessi.
Le storie sulla difficoltà occupazionale dei giovani invadono le cronache e trovano conferma nei dati Almalaurea: il tasso di disoccupazione a un anno dalla laurea aumenta sia per chi esce da una triennale (dal 16 al 19%), sia per chi ha conseguito la specialistica (dal 18 al 20%).
Non è tutto: negli ultimi decenni si è registrato un aumento in tutta Europa di posizioni lavorative qualificate, che hanno superato il 30% della forza lavoro in paesi come l'Inghilerra.
In Italia però secondo Eurostat, questo è avvenuto in maniera minore negli anni '90, e negli ultimi il fenomeno ha fatto registrare un trend negativo, che ha riportato la forza qualificata dal 19 al 18%.
Ma ci sono anche studi che delineano la scarsa educazione all'imprenditorialità dei giovani: uno sondaggio di Termometropolitico in collaborazione con La Stampa sottolinea che il 24% dei ragazzi sotto i 35 accetterebbe qualsiasi lavoro, a tempo indeterminato e privo di rischi, mentre solo il 16% preferisce fare sacrifici per una sua attività indipendente.
In Italia sprechiamo davvero le risorse migliori? Abbiamo raccolto le storie di giovani dal brillante curriculum, alle prese con difficoltà lavorative, e il parere di due professionisti delle risorse umane.


La postina cum laude
Tesi sulla messa in sicurezza degli edifici monumentali danneggiati dal terremoto in Abruzzo.
Laurea col massimo dei voti, e la lode nel 2011 in Conservazione del patrimonio culturale.
La Soprintendenza per i beni architettonici l'ha anche premiata, ma come racconta Abruzzoweb un anno dopo Stefania Moratti, 25enne di Tuenno, in Val di Non, lavora alle Poste.
Fa la portalettere.
«Avrò spedito almeno 200 curriculum - dice - ottenendo sempre la stessa risposta: la contatteremo quando avremo bisogno».LINDA ARMANO


La ricercatrice- mamma
nda Armano ha 29 anni ed è madre di un bimba di un anno.
Vive in Veneto.
Dottoressa di ricerca, come ha raccontato Affaritaliani.it, ha studiato in Francia e in Italia, presso le università Lumière Lyon 2 e a Cà Foscari.
Padroneggia l'antropologia, conosce la sociologia e la storia, ma questo non le è bastato per trovare un lavoro.
Addirittura, racconta, «sono stata rifiutata anche dalle imprese di pulizia: dicono che ho studiato troppo e che fregherei il posto a gente che ha studiato meno di me». ALESSIA BOTTONE

Dall'Onu al bancone
Parla fluentemente l'inglese, il francese e lo spagnolo, è laureata in scienze politiche.
Nel suo curriculum anche uno stage all'Onu.
Eppure, Alessia Bottone, 26 anni, originaria di Verona, racconta il Corriere Universitario lavora saltuariamente come cameriera in un bar.
Nelle settimane passate ha scritto al ministro del lavoro Elsa Fornero (ma non ha ottenuto ancora risposta) per denunciare il destino dei giovani come lei e con le sue amiche ha creato un blog per tenere acceso il dibattito sui giovani talenti. 


Scelta dal Cnr, ma a casa
Laureata in biologia nel 2008, Emanuela Accardi ha seguito diversi corsi di formazione post laurea vincendo anche una borsa di studio al Cnr di Roma.

Lo racconta Affaritaliani.it: non le è bastato per sfondare, né per trovare un'occupazione stabile.
«Ancora oggi sono alla ricerca di un lavoro - rivela - e in alcuni curriculum non inserisco più la laurea.
Come se non bastasse mi sono per la terza volta iscritta ad un corso universitario per capire se almeno così possa nutrire una speranza in più per un lavoro». L'ingegnere che fa il netturbino ALESSIO PICCIRILLO Alessio Piccirillo, romano, parla quattro lingue.
È laureato in ingegneria e in tasca ha ancheunmaster.
Divenne famoso lo scorso anno, quando Repubblica raccontò che per vivere aveva accettato un  posto di lavoro da operatore ecologico, al pari di tanti altri colleghi come lui laureati.
«Infondo,mireputofortunato »,commentavaaggiungendo:«Almeno io ho uno stipendio fisso.
È importante soprattutto adesso che mi sono sposato».

Due lodi ma nessun lavoro FRANCESCA GIGLIO Nel 2008 la laurea in lettere. Nel 2012 il dottorato di ricerca in italianistica.
In ambedue le occasioni, col massimo dei voti e la lode, svela Oggi24. Tra una cosa e l'altra, la pubblicazione d'un libro e di articoli surivistespecializzate.E poi curriculum, tanti. Spediti a case editrici, scuole private, aziende, persino in Rai.Maa Francesca Giglio, barese di 28 anni,ancora nessuno ha aperto le porte.
Lei però non s'arrende: «Senza determinazione non c'è speranza»

Fonte : Il Giornale, 30 Agosto 2012 


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domenica 2 settembre 2012

QUI BERLINO


Cara Alessia,

ho scoperto di te e della tua vicenda grazie ad un mio compagno di università qui a Berlino che ha letto un articolo su di te su un giornale tedesco. Ho deciso di fare subito delle ricerche in internet ed eccomi capitata sul tuo blog. E come altri vorrei raccontare anche io la mia piccola vicenda.

Mi chiamo Stefania, ho 24 anni e ho studiato Lingue a Genova. La mia passione particolare per il tedesco e per l'Europa mi ha portato a fare prima un anno in Erasmus ad Amburgo e poi un master internazionale di studi europei a Berlino, dove sono tutt'ora. Un master un po' come il tuo, da circa 7mila euro, che non mi sarei potuta permettere con i miei soli risparmi senza l'aiuto della mia famiglia. Qui a Berlino ho trovato poi un lavoro part-time come collaboratrice studentesca in un istituto dell'università con cui riesco a pagarmi bene l'affitto.

In questo anno di duro studio e lavoro ho raccolto tantissime esperienze soprattutto nel campo delle politiche giovanili, grazie a stage, partecipazione a progetti socio-culturali e incontri/conferenze di vario genere (Berlino è una città molto vivace soprattutto in questo senso!). Il mio sogno è quello di portare l'Europa, le culture europee, più vicine ai giovani italiani, a partire dai miei amici, che quando sentono "studi europei" mi guardano perplessi e giustamente si chiedono "e che cos'è??".

Presa dall'entusiasmo durante il mio tirocinio presso il ministero della gioventù tedesco avevo provato ad informarmi inizialmente sulle realtà nel campo delle politiche giovanili di Genova, Torino e tutto ciò che ci sta in mezzo, cioè le zone che meglio conosco. La mia ricerca (mail e quant'altro) è stata piuttosto deludente, ma non demordo, perché dopo questo master voglio tornare in Italia e voglio realizzare il mio sogno. Probabilmente come te sarò troppo qualificata, ma credo anche che coi cambiamenti che ora grazie alla riforma del lavoro piano piano vivremo e grazie alla voce di persone come te e come tutti quelli che scrivono su questo blog, qualcosa di positivo per noi giovani arriverà.

Sul difficile tema della transizione scuola-lavoro in Italia, su di noi e su di voi, sto scrivendo la mia tesi in questo momento (ti scrivo dalla mia postazione in biblioteca).  Continuerò perciò a seguire questo blog con grande interesse ed un pizzico di emozione.

Un abbraccio da Berlino,
Stefania

sabato 1 settembre 2012

FUGGITIVI DI PROFESSIONE


Oggi, ho il piacere di pubblicare la lettera di un mio caro amico. Mentre leggo le "molte"righe che ci ha regalato ripercorro gli anni trascorsi insieme e le fughe condivise. Un 'interessante riflessione per chi deve ancora trovare la sua strada e il suo posto nel mondo. 

«In tempi come questi la fuga è l'unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare»
[HL]


Io scappo da una vita.


Ero poco più d’un adolescente, i capelli ingellati tirati a lucido sotto una fascia -non l’avessi mai fatto, oggi ne avrei qualcuno in più-, che in guerra perenne contro il mondo fuggivo regolarmente dalle regole di mia madre. A casa di mio padre, s’intende.  A volte fa comodo esser figli d’un divorzio.

Eccomi allora maturando, sebbeme immaturo fin al midollo, a scappare da un percorso accademico  che per me sembrava tracciato da una vita. Figlio, nipote, pro-nipote d’avvocati, con uno studio ben avviato che attendeva solo d’esser ereditato. Quale facoltà avrei scelto? Non-giurisprudenza. Qualunque branca dell’umano scibile che mi consentisse di evitare la temutissima professione di famiglia. Poco importava se prevedesse  uno o più esami di matrice giuridica. L’importante, agl’occhi di me matricola in fuga, era poter continuare a scappare.
Economia mi sembrava un buon compromesso: media difficoltà, piani di studio molto diversificati a coprire le discipline più disparate, quel tocco di Diritto che avrebbe fatto contento qualche parente. Ma soprattutto, diceva la leggenda metropolitana dell’epoca, utile a trovar lavoro. E quando si scappa, pensavo, è meglio farlo da stipendiati.  
Mi iscrissi.

Passano gli anni della triennale, e con loro gli esami con voti tutto sommato soddisfacenti. Ma ecco che arriva la più geniale delle strategie di fuga accademica legalizzata che l’uomo moderno abbia mai concepito: il programma Erasmus. Per un giovane poco più che ventenne, dalle “belle speranze” e le confusissime idee sul futuro, era tutto sommato una buona scommessa: un intero anno all’estero, per la prima volta e completamente solo, una nuova lingua da imparare, qualche esame in più da portare a casa in modo non sempre del tutto ortodosso. Finalmente una fuga “condivisa”: i familiari la appoggiano, emotivamente e finanziariamente, sicchè il fuggitivo può prendersi un anno sabbatico dai suoi tormenti esistenziali –“mi piace quel che faccio? Cosa ci faccio quando lo finisco? E se poi non ce la faccio che faccio?”.  Da notare l’insistenza con cui in questi interrogativi compare il verbo “fare” -quel che io chiamo la funzione, la missione di ciascuno di noi a questo mondo. Qualche millennio fa un po’ di greci più saggi di me l’avevano già chiamata ἀλήθεια (aletheia, verità). Letteralmente “ciò che non è coperto da veli”. Svelato.

Sui quanti veli il mio Erasmus m’abbia aiutato a togliere non mi dilungo in questa sede. Lo faccio dal giorno in cui ho rimesso piede in patria –mai per restarci troppo a lungo. Restava però il più grosso e pesante di tutti: quel dover dare un senso a una scelta accademica mai da nessuno (me in primis) del tutto compresa, nonchè –soprattutto- dimostrare, a me e a tutti, di riuscire a cavarci qualcosa di tanto utile quanto la “professione di famiglia”.
Ancora una volta un deus ex machina accademico giunse in mio soccorso nella scena cruciale: la riforma universitaria. Un qualsiasi neo-laureato del vecchio ordinamento, all’età in cui io finii la mia triennale, non avrebbe potuto più trastullarsi in enigmatici quesiti filosofico-professionali –si sarebbe piuttosto, come diciamo qui a Napoli, messo a vedere quel che doveva fare (il dialetto tradotto perde troppo spesso la sua efficacia). A me invece, tra i primissimi figli della riforma, fu concesso un altro biennio di riflessione esistenziale: la laurea specialistica. La quale laurea, oltre ad essere tutto tranne che specializzante (mentre alquanto formativa era stata la sorella minore triennale –vizi e virtù del nostro nuovo ordinamento), portava con sè tutto un nuovo pacchetto di eccellenti strategie di fuga: stage all’estero per laureandi (programma Erasmus Placement), ricerca all’estero per la tesi finale, stage all’estero per laureati (programma Leonardo).  Scappai in tutti i modi che mi furono concessi. Quando non lo feci, fu perchè già avevo formulato un mio piano di fuga alternativa.
Ma con la laurea finirono anche le fughe accademiche legalizzate. Poco male, mi dissi - tra titoli lingue ed esperienze qualcosa di buono sarei riuscito a trovarlo. Non che avessi tolto il grande “velo”, quello forse s’era inspessito a furia di tanto riflettere, ma avevo sì gran voglia di cominciare a far qualcosa. O forse, più semplicemente, di cominciare a vivere di quel che facessi. Qualunque cosa facessi.
Scelsi dunque il mestiere del mandante di curricula. O  meglio, di application (forms), dacchè le mie domande di lavoro erano tutte inesorabilmente dirette all’estero.

Il mandante di curricula si alza presto al mattino, come qualsiasi altro lavoratore. Forse un pizzico più tardi, dacchè non ha cartellini da timbrare se non quello della prima colazione in cucina, e dacchè la distanza più grande che dovrà percorrere è quella che ne separa il letto dal computer. C’è anche la figura del mandante di curricula dal letto: colui/lei che “lavora” fino a tarda sera o sceglie il “turno” di notte, ed inevitabilmente finisce con l’addormentarsi al computer (questa versione del mandante richiede un portatile). In questo caso al mattino seguente potrà dormire qualche minuto in più: nessuna distanza da coprire, casa e puteca (ancora dal napoletano, stavolta non tradotto) a tutti gli effetti. 
Che lavori dal letto o dalla scrivania, per prima cosa il mandante di curricula controlla la propria casella di posta elettronica, in uno stato d’animo che è un misto tra apatica noia ed improvvisa eccitazione. Entrambe si convertono rapidamente in frustrazione, quando scopre –o meglio trova conferma di quel di cui già aveva piena coscienza e cioè- che non ha ricevuto risposte, se non negative, alle domande inviate nei giorni/mesi precedenti. Le stesse risposte negative sono in realtà per lui in qualche modo fonte di benessere, o almeno così gli sembra di ritenere: meglio, si dice, dell’essere completamente ignorati. L’educazione innanzi a tutto.
Ripresosi dall’ormai abituale piccola delusione di inizio giornata, il mandante di curricula pensa e/o si ripete qualche formula rinvigorente per la sua autostima, indi inizia la sua giornata di lavoro. Per le successive 6-8 ore, intervallate da molti caffè (ed altrettante sigarette se fumatore) nonchè da una pausa pranzo di breve/media durata, non farà altro che cercare annunci di lavoro e –ovviamente- mandare curricula, tendenzialmente accompagnati da lunghe e ripetitive lettere motivazionali. Comincia di solito con gli annuncia lui più congeniali e/o più affini al suo profilo, oguno dei quali gli sembra sia stato scritto per lui ad personam. Allargherà inevitabilmente la ricerca, fino ad includere annunci che solo qualche settimana prima gl’erano sembrati improponibili.
I contratti dei mandanti di curricula sono tutti a tempo indeterminato: non si sa mai quando scadano.

Io ho lavorato più volte come mandante di curricula. Tuttora continuo a farlo. Un paio di volte m’è andata bene: durante il tradizionale rito d’apertura-posta-elettronica mattutina, i miei occhi increduli si sono illuminati al ricevere una risposta inaspettatamente positiva. Ritornavano le belle fughe d’una volta: prima uno stage (retribuito!), chiaramente all’estero, poi addirittura un contratto, di un anno non rinnovato, in un posto che chiamarlo estero è un eufemismo. Poi ancora curricula.
Il grande velo esistenziale è ovviamente rimasto al suo posto, ma forse nel frattanto si è leggermente assottigliato. Per il momento ho scelto, o meglio mi sono auto-convinto di dover scegliere, di tentare una carriera nella cooperazione allo sviluppo, preferbilmente all’interno di un’organizzazione internazionale. Ma mentre mi obbligavo a scegliere, da quando mi son laureato ho anche lavato parecchi piatti e servito altrettanti panini. Nulla contro lava-piatti e servi-panini: a volte c’è più da imparare nella cucina d’un pub che in un ufficio. Semplicemente, non proprio il tipo d’impiego che credevo m’aspettasse al termine degli studi.   

Nel mio caso, ad ogni modo, credo che il problema di fondo sia una doppia crisi. A quella economica esogena, che proprio sembra non volerci dar tregua, se ne aggiunge una endogena e più profonda, della quale mi reputo unico responsabile: il non aver ancora saputo del tutto svelare la mia aletheia. Nonchè l’aver sistematicamente rimandato la svelatura a suon di fughe.
Ne conosco, di coetanei, che con un pizzico di fortuna ce l’hanno fatta. Come direbbe la nonna media napoletana, si sono sistemati. E ci son riusciti perchè hanno votato anima e corpo alla propria passione –avevano già da tempo compreso qual dovesse essere la loro funzione. Certo hanno saputo attendere, dimostrando pazienza e cocciuta determinazione, ma alla fine sono stati giustamente premiati. Forse non vicino casa, forse a costo di dover ricorrere all’ennesima fuga. Ma ce l’hanno fatta.

Allora guardiamoci dentro, prima di puntare il dito fuori. Proviamo a togliere con decisione tutti i veli che ci sono rimasti. Ascoltiamo a pieno le nostre passioni, e perseguiamole con tutte le energie e gli strumenti di cui siamo forniti. Iniziamo finalmente a svolgere la nostra funzione.
Ogni crisi esogena, i libri d’Economia insegnano, è storicamente sempre seguita da una straordinaria ripresa. Che questa volta stenta ad arrivare, e potrebbe tardare ancora chissà quanto. Ma ci lascia il tempo di svelare l’aletheiea, di lavare qualche piatto e servire qualche panino.
Nonchè di diventare bravissimi mandanti di curricula a tempo speriamo determinato. O, se preferite, fuggitivi di professione.

"El humanista"