La testimonianza di una "nostra inviata" a Berlino che redarguisce chi punta il dito solo verso il Belpaese: "La soluzione non è emigrare".
Forme di sfruttamento
contemporaneo. Nel cuore della nostra democratica Europa.
Berlino, era ormai da anni il mio chiodo fisso. Avevo
visitato più di una volta la capitale tedesca e ne ero rimasta del tutto
affascinata. Pensavo che la storia lacerante che l’aveva colpita ed inghiottita
avesse insegnato molto alle persone che vi vivono. Pensavo, ingenuamente, che
Berlino fosse il nuovo punto di partenza europeo. La luce di speranza in questa
generalizzata situazione di crisi e stallo. Mi sbagliavo.
Questa è la mia storia.
Mando molti CV ovunque. Infine mi chiamano per un colloquio.
Si tratta di una startup che lavora sul web, una ditta fino ad allora a me
completamente sconosciuta che pare riscuota parecchio successo nel campo.
Un giovane rampollo di buona famiglia mi fa il colloquio e le
parole chiave che ne escono sono: “soldi”, “successo” e “competizione”. Il contratto ha una durata di tre mesi e lo
stipendio è pari a 600€. I tre mesi sono di prova, se sei tra “i migliori” poi
potrai restare e guadagnare un sacco di soldi. Ricorda però, solo i “migliori”
possono restare. Sì va bene, anche se il tutto mi lascia notevolmente perplessa
essendo la mia indole completamente differente ovvero per nulla competitiva e
assai lontana dalle perfide logiche del mercato. Un lavoro comunque mi serve.
Due giorni dopo ricevo una mail: mi hanno presa! Bella felice
faccio i bagagli: finalmente vivrò nella città dei miei sogni!
Primo giorno di lavoro: l’ufficio è situato nel cuore del
business berlinese. Edificio nuovo, openspace, tante scrivanie bianche una
vicina all’altra, ognuno ha il suo pc. La stanza brulica di ragazzi come me
provenienti da ogni angolo di Europa, poliglotti e plurilaureati. Mi siedo di
fianco ad una collega italiana. Mi spiega la nostra mansione. Costruire un sito
passando 8 ore inserendo immagini nelle cartelle di questa nuova piattaforma
online. E la pausa? Se vuoi la puoi fare però non troppo lunga altrimenti la devi recuperare alla fine della giornata.
Ah, ok. Mi viene fatto firmare il
contratto che ha una durata di un mese e mezzo e non di tre. Chiedo il perché.
Perché sono arrivata tardi. Tardi rispetto a cosa? Che scelta ho? Sono lì e
firmo. Forse quello è stato l’errore. Un lavoro comunque mi serve.
Condizioni lavorative: devi inserire il maggiore numero di
immagini possibile e di alta qualità. Non ti devi fermare: i perdenti, coloro
che non producono, non fanno parte del team. Ah ok!
Fine giornata: il rampollo arrogante esce con una lavagna e
su questa compaiono i nostri nomi e di fianco i numeri che corrispondono alle
immagini che abbiamo caricato. Solo i migliori vincono. Ed infatti vengono
annunciati i vincitori della giornata in stile serata degli oscar hollywoodiani:
“…and the winner is…!”. Se vinci tre o quattro volte la settimana puoi ricevere
un bonus di 100€. Ah, ok!
La testa mi fa male e gli occhi mi bruciano. Fa niente. Alle
17.00 finisce il turno, molti restano ancora a proseguire il loro onesto lavoro.
Io esco perché devo cercare un appartamento, devo aprirmi un conto, devo
reperire una montagna di documenti che la burocrazia tedesca richiede. Per
fortuna siamo nell’Europa unita.
Secondo giorno: vengo a scoprire dalla mia collega che il
nostro stipendio è in realtà di 495€ (causa tasse varie) perché 600€ non sono
netti, ma lordi. Ah ok! Anche se al colloquio non mi avevano detto questo.
Molti dei miei colleghi internazionali restano oltre l’orario ufficialmente
richiesto a svolgere il loro onesto lavoro. Nessuno si lamenta. Ma perchè
nessuno si rende conto che pare di vivere realmente il film di Virzì “Tutta la
vita davanti”? Nessuno dice nulla.
Decimo giorno: cambiamo ufficio e ci spostiamo in un altro
quartiere, all’ultimo piano di un interessante edificio di archeologia
industriale. La mia mansione cambia, curo la pagina Facebook e cerco di
sponsorizzare il nuovo sito. Faccio del mio meglio, secondo le mie possibilità.
In fondo è la prima volta che mi trovo a fare questo tipo di lavoro.
Nel frattempo arrivano le vacanze di Natale e il contratto
sta per giungere a conclusione. Momento di suspance: il giovane rampollo
comunica che alcuni di noi, ma ovviamente solo i migliori e i più produttivi,
potranno rimanere. Gli altri se ne dovranno andare. Ah ok! Ma quando me lo
dicono? Io finisco dopodomani. Ma se non mi dicono di rimanere io nemmeno ho il
tempo per cercare qualcosa di meglio. Ah, ok!
Ultimo giorno: arriva il colloquio decisivo con il rampollo. Salgo ai piani alti. Mi presento, nemmeno sa chi sono, non ha il mio CV
sottomano e non ha la più pallida idea di quello che mi deve dire. Comincia a
fare considerazioni generali e positive relative al gruppo dei ragazzi
italiani, ma non ha la minima idea di chi sia io, di quale sia il mio
background universitario e lavorativo. In base a cosa allora deciderai che sono
una dei migliori e che ho lavorato più o meno bene?? In un periodo della durata
di circa un mese di stage che cosa vuoi capire?
Attenzione, attenzione! Arriva la domanda fatidica, nocciolo
del colloquio di altissimo livello professionale: “Ma tu sei rimasta
quotidianamente in ufficio oltre l’orario canonico di lavoro?” Io rispondo
fermamente: “No!” e a questa parolina avrei voluto aggiungere una serie
infinita di considerazioni. Il mio volto forse lascia trasparire il mio
disappunto e il rampollo mi chiede in un perfetto inglese anglosassone: “Do you
have something to complain?” Dico di no, ma sbaglio. Avrei dovuto dire quello
che pensavo.
Avrei dovuto poi ricevere, nel fine settimana o la domenica
sera, la mail delle HR con la risposta relativa al mio futuro lavorativo
nell’azienda. Non ricevo assolutamente nulla fino al lunedì mattina. Così mi
rimane il dubbio, vado o non vado in ufficio oggi? Scrivo una mail. Non mi
hanno presa, si scusano, non motivano la scelta, mi ringraziano e sperano che
resti fan della pagina Facebook relativa al sito. Questo ultimo punto certo è
molto importante.
Ora mi trovo qui e non ho nemmeno ricevuto il bonifico che mi
spetta. Ovviamente si scusano di cuore per il ritardo nel pagamento.
Questo è il nuovo sfruttamento dell’era contemporanea.
L’apoteosi di quello che si definisce “precariato”.
Ma perché continuiamo ad accettare tutto questo? Io chiedo
rispetto.
2 commenti:
Mi sembra di leggere la mia esperienza di stage a scopo assuntivo che ho vissuto qui, nella mia città.. mi veniva richiesto di impegnarmi al massimo, e di fermarmi oltre l'orario di lavoro (questo ha talvolta comportato giornate lavorative di 14 ore!!). Pagata €100,00 al mese (che sarebbero dovuti diventare 300 allo scoccare del terzo mese di stage ma che sono invece arrivati a 200), mi hanno fatto pure storie perché non volevo guidare l'auto aziendale (non era richiesto come requisito "assuntivo" e io non rischio la pelle per 100/200€ al mese!)... dopo 6 mesi a tempo pieno, mi hanno liquidata con una valutazione media lasciandomi un grande, grandissimo amaro in bocca.
Il fatto che succeda anche in Germania dovrebbe far riflettere...
Posta un commento